Mi sono attardata a discutere coi muratori di Mastro Beragiola. Avevo preteso che la profondità della buca misurasse quindici palmi – perché tutti i trattati teorici che avevo letto mi insegnavano che le fondamenta devono misurare un sesto dell’altezza futura dell’edificio. Beragiola aveva obiettato che dipendeva da quando avremmo trovato la terra vergine. Il colle di Giano era un altipiano di sabbia argillosa dove qua e là affiorava il tufo. Non potevo cambiare la natura del suolo [….] Il comasco fissava la voragine bruna senza nascondere il suo scetticismo. Non credeva che ci sarei riuscita. La Villa sarebbe rimasta un mucchietto di vanitosi prospetti sulla carta. E se pure avesse innalzato le cantonate dei muri, sarebbe crollata come un castello di sabbia. Le donne non fabbricano case, ma esseri umani – e io, la virtuosa vergine, non ero capace nemmeno di quello» [Melania Mazzucco, L’architettrice] Montaigne definiva la vita come «un movimento ineguale, irregolare, multiforme». Come tale, imprevedibile, sempre spiazzante, irriducibile a una misura che consenta di pianificarla razionalmente. Eppure, il compasso della vita è una contraddizione necessaria. Cos’è un progetto – di una stanza, di una città, di un romanzo, di una vita – se non il tentativo di dar forma all’informe, di canalizzare quel flusso secondo un disegno, fedeli a un ideale di esattezza e insieme consapevoli delle incognite che imporranno una variazione in corso d’opera, una rinegoziazione del nostro rapporto col mondo?
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Villa Campolieto
Corso Resina 283, Ercolano
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